Il brutale assassinio di san Pietro martire occupa la parte principale della pala, strutturata secondo una lettura verticale. Il frate, vestito con l’abito bianco e il mantello nero dei domenicani, è presentato frontalmente, con le ginocchia per terra e lo sguardo rivolto al cielo dove Dio Padre, circondato da un alone luminoso, lo chiama a sé con le braccia spalancate. In una luce ferma e diffusa, il dramma è colto in un momento di sospensione: il fatto è già compiuto e un gruppo di paffuti angioletti sta già scendendo con la corona e la palma che lo qualificheranno santo e martire.
Nella zona intermedia fra il primo piano e lo sfondo, un altro frate cerca di sfuggire agli aguzzini in direzione di una rigogliosa boscaglia. Qui, contro lo splendido cielo azzurro e il profilo della catena montuosa, si compie simbolicamente un altro martirio: quello di Cristo, richiamato dai taglialegna intenti ad abbattere un robusto albero verde, emblematico riferimento alla prematura morte del “legno verde”, divenuta nuovamente attuale nella morte, altrettanto prematura, di Pietro.
Le fonti antiche, prodighe di elogi e riconoscimenti, assegnavano l’opera alla maggior gloria artistica locale, vale a dire Lorenzo Lotto: attribuzione ormai da tempo contraddetta dalla critica, in favore della corretta assegnazione a Palma il Vecchio.
L’opera è stata inoltre oggetto di discussioni a riguardo della cronologia, oscillante fra il 1515 e la fine degli anni Venti. Escursioni così ampie implicano riferimenti culturali eterogenei: da Cima da Conegliano a Lorenzo Lotto del primo soggiorno bergamasco, da Giovanni Bellini a Tiziano maturo fino a Pordenone. E’ tuttavia abbastanza certa la realizzazione dell’opera a Venezia, come attestano la lavorazione della carpenteria e la ricezione del linguaggio cromatico di Tiziano, tali da suggerire una cronologia intorno al 1518-1520.
La superficie pittorica risultava ingiallita e in alcuni punti macchiata da stesure di vernice. Vi erano inoltre numerosi ritocchi fuori tono e, in corrispondenza alle figure dei carnefici e in certe parti della corona angelica, era assai visibile un cretto molto allargato.
Il restauro ha riguardato sia il supporto che il manto pittorico: in primo luogo è stato eseguito un trattamento antiparassitario; successivamente sono stati fermati i sollevamenti della preparazione e della pellicola pittorica con colle di origine organica. Si è proceduto con la pulitura, condotta in più fasi e in modo selettivo, mantenendo sia l’integrazione del cielo, ridipinto in un restauro tardo settecentesco, sia le vecchie stuccature quando solide. Sono state poi reintegrate le lacune e applicata una vernice protettiva. Da ultimo si è provveduto alla dotazione di una nuova cornice con la funzione di restituire al campo pittorico l’originale forma centinata: nel Settecento l’opera fu infatti resecata, per essere adattata alla forma del nuovo altare.
Redazione Restituzioni