Protagonista del dipinto è Michele Arcangelo, che schiaccia il demonio fra i santi Gerolamo e Agostino. L’impianto iconografico rispetta la formula tradizionale per piani prospettici sovrapposti: in alto, su una spessa corona di nuvole, è l’immagine evanescente della Trinità, poco leggibile a causa del compromesso stato di conservazione; al centro si colloca Michele Arcangelo, nelle vesti di impavido guerriero in armatura, che brandisce la spada e regge la bilancia, con analogo effetto di grandiosità. In basso siedono infine i due santi, con un libro fra le braccia: Agostino a destra, in abiti vescovili, e dall’altra parte Gerolamo, in vesti cardinalizie e con lo sguardo rivolto in alto, verso l’Arcangelo guerriero.
Il dipinto si caratterizza per semplicità ed efficacia, secondo un linguaggio di alto potenziale emotivo caro alla pittura controriformistica.
Nel gesto dell’arcangelo si condensa la bellezza dell’immagine, che riscatta in un certo modo la staticità arcaica e monotona delle altre figure. In relazione a questo dettaglio Stefania Mason Rinaldi ha individuato due disegni: uno, considerato preparatorio, del National Museum di Stoccolma e un altro preparatorio per il San Michele del soffitto della chiesa di Candiana, della collezione C.R. Rudolf di Londra. Il dipinto va quindi collocato in un preciso momento del repertorio palmesco: il primo decennio del XVII secolo (1607, secondo l’iscrizione accanto alla firma) quando il suo stile presenta ancora forti richiami al Cinquecento veneziano, distinguendosi tuttavia per una nuova essenzialità compositiva, in cui le figure vengono ridotte di numero e accentuate nella volumetria.
L’opera, collocata nella cattedrale di Chioggia, è stata danneggiata dal crollo della volta del transetto sinistro, avvenuto nel 1988. L’incidente comportò infatti un grave allentamento della tela sul telaio, con il distacco in più punti dei chiodi di fissaggio e il deposito di uno spesso strato di polvere.
Con il restauro il dipinto è stato pertanto sottoposto a una prima pulitura, che ha previsto l’asportazione dei depositi superficiali, ed è stato protetto con una velinatura di carta giapponese. Rimossa la vecchia foderatura, è seguita la pulitura del retro nonché l’applicazione di una nuova foderatura con una tela da rifodero in lino, analoga all’originale. Il dipinto in questa fase è stato sottoposto a una particolare stiratura e alla pulitura vera e propria.
Effettuata una seconda foderatura, il dipinto è stato trasferito su un nuovo telaio a incastri mobili e a tensione regolabile. Il restauro si è infine concluso con il risarcimento delle lacune, la reintegrazione pittorica e la stesura di una vernice “mista”, applicata a spruzzo, ed e è stata così restituita uniformità e brillantezza al dipinto.
Redazione Restituzioni