Conosciamo molto della storia di questo ritratto di dama a figura intera, dipinto da Anton van Dyck verso la fine del 1624, durante il suo soggiorno a Genova. La donna raffigurata al centro della tela è Caterina Balbi e il committente dell’opera è suo suocero, Agostino Durazzo, che pagò l’artista di Anversa anche per l’effigie del figlio Marcello. I quadri nacquero con ogni probabilità in coppia, in occasione delle nozze di Caterina e Marcello, appartenenti a due delle famiglie più ricche della nobiltà di parte nuova della Repubblica di Genova. L’autore dà prova di aver già assimilato la lezione rubensiana, soprattutto dai ritratti genovesi del maestro fiammingo. I modi di presentazione di Caterina Balbi Durazzo, del resto, si ritrovano in dipinti coevi, concepiti da Van Dyck con analoghi impianti, abiti e dettagli decorativi. La giovane patrizia genovese punta con sguardo determinato lo spettatore e una rosa antica tra i capelli, a lato del viso, ne mette in risalto la carnagione diafana. Il sontuoso abito alla spagnola è caratterizzato da gorgiera di pizzo a lattuga, corpetto a punta, grandi maniche pendenti, maniche al braccio rifinite da voluminosi manicelli anch’essi di pizzo, ampia veste sorretta da intelaiatura. Caterina sposò Marcello Durazzo attorno alla data del pagamento per le due tele di Van Dyck, il 31 dicembre 1624, ma Marcello morì a soli trentanove anni nel 1632. La nobile genovese non si risposò e, almeno dalla metà del XVII secolo, abitò nella sontuosa dimora al numero 1 di via Balbi, verosimile sede anche del dipinto in esame. Nel 1658 si stabilì che i due ritratti toccassero in usufrutto vitalizio alla vedova e che, alla morte di quest’ultima, sarebbero tornati ai fratelli di Marcello e ai loro eredi. Fu così che nel 1690, nella dimora al numero 10 di via Balbi (più tardi nota come Palazzo Reale), ma allora di Eugenio Durazzo, figlio di Gerolamo, uno dei due fratelli di Marcello, arrivarono «due ritratti in piedi uno del Signor Marcello, e l’altro della Signora Cattarina del Vandich».
La prima menzione dell’effigie di Caterina nel palazzo al numero 10 di via Balbi è di Charles de Brosses nel 1739, «une Durazzo, de Van Dyck». Fu ricordata in seguito da Charles-Nicolas Cochin, «une grande Femme, de Van Dyck», e da numerosi viaggiatori e, quindi, da Carlo Giuseppe Ratti nel 1766 che la riconobbe come «il bel ritratto della Signora Caterina Durazzi». La dimora dei Durazzo fu acquistata nel 1824 da Carlo Felice e il quadro, ormai parte del regio patrimonio, negli inventari sabaudi fu descritto con formule generiche. Il ritratto di Marcello, invece, alienato dai Durazzo alla fine dell’Ottocento, è conservato alla Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro di Venezia. Le due tele presentano oggi formati diversi (quella a Venezia misura 205 × 125 cm), ma è probabile che entrambe abbiano subito modifiche nel corso del tempo. Le condizioni di conservazione dell’effigie di Caterina sono apparse critiche almeno dal 1751 quando la vide Cochin. Le analisi propedeutiche all’ultimo intervento realizzato nell’ambito di Restituzioni hanno rilevato estesi danni connessi all’esposizione al fuoco. Nel 1889 e nel 1897 se ne denunciarono le infelici condizioni di conservazione documentate anche da una fotografia Noack dell’Archivio Fotografico del Comune di Genova. Nel 1933 il ritratto di Caterina fu restaurato a Milano, presso il laboratorio Boccalari e, infine, tra il 1954 e il 1955, subì un importante intervento presso l’Istituto Centrale del Restauro.