Nel cuore del Museo Poldi Pezzoli, lo studiolo dantesco è l’unico ambiente, insieme allo scalone, ad aver conservato le decorazioni originarie. Esso è collegato, tramite un arco, a un balcone verandato; la pianta ha la forma di due stretti rettangoli nei cui lati lunghi si fronteggiano una triplice vetrata dipinta e un fastoso camino bronzeo. Ai lati del camino due archi in stile Tudor comunicano con la sala dei vetri di Murano, un tempo camera da letto del nobile Gian Giacomo Poldi Pezzoli.
La luce filtra nella stanza sia attraverso la grande vetrata che attraverso piccole nicchie chiuse da cristalli. Sopra il camino si erge una caminiera in bronzo decorata con fitti racemi; gli stessi motivi sono riprodotti sulle pareti in bassissimo rilievo di gesso dorato, in linea con il profilo delle porte e del camino. Sopra le porte gruppi di figure abbigliate all’antica sono racchiusi tra altri racemi vegetali, come grandi capilettera di un codice miniato.
Un complesso decorativo in linea con il gusto e lo spirito del tempo e allo stesso tempo ricco di richiami alla storia della famiglia del collezionista. Come nei fiori, nelle spire vegetali e nelle figure animali della caminiera, in cui echeggiano i motivi decorativi del candelabro Trivulzio del Duomo di Milano, capolavoro dell’oreficeria del XIII secolo ammirato e celebrato – proprio a cominciare da quegli anni – dai maggiori studiosi di arte medioevale e donato alla cattedrale nel XVI dalla famiglia materna di Gian Giacomo. O più in generale nel grande, unico complesso iconografico che domina nelle vetrate e nelle pitture murali, dedicato al trionfo delle arti e della poesia del Medioevo italiano e ispirato a episodi della Divina Commedia e della vita di Dante. Una scelta in linea sia con il gusto romantico – gli intellettuali del Risorgimento vedevano nel Dante filosofo politico un precursore degli ideali patriottici animati dai quali si stavano battendo contro l’occupazione straniera – che con la tradizione di famiglia – Gian Giacomo Trivulzio, autorevole dantista, era il nonno materno di Gian Giacomo Poldi Pezzoli.
La decorazione fu affidata a tre artisti, Giuseppe Bertini, Luigi Scrosati e Giuseppe Speluzzi, che la idearono ed eseguirono fra il 1853 e il 1856. Nella casa-museo ogni sala fu ispirata a un diverso stile del passato (barocco, primo rinascimento, rococò, etc.) e il cabinet, in stile medievale, fu il primo ambiente ad essere realizzato. Eclettismo e istorismo erano allora considerati stili d’avanguardia e gli artisti incaricati da Gian Giacomo Poldi Pezzoli erano tra i più rinomati e aggiornati dell’epoca. Bertini e Scrosati collaborarono mirabilmente al servizio del collezionista. I due avevano molto in comune – ad esempio l’importantissima esperienza nella vetreria artistica (per Bertini attività di famiglia) – e ben si conoscevano per aver già collaborato in molte occasioni a partire dalle decorazioni di Palazzo Busca Serbelloni.
Concepita come luogo per l’esposizione delle opere d’arte applicata, con nicchie nei muri a fungere da vetrine e una buona illuminazione, già nel 1883 la stanza è definita “gabinetto di studio”, una sorta di scrigno che riuniva al suo interno le più svariate tecniche. Ne conosciamo il contenuto e la disposizione originaria grazie all’inventario redatto alla morte del collezionista: vasi archeologici, orologi, porcellane europee e orientali, smalti limosini, ventagli, brocche e bacili in bronzo, calici di vetro soffiato, conchiglie incise e noci di cocco montate in argento cesellato e dorato. Oltre cinquecento oggetti accomunati da un’eccezionale perizia tecnica e raccolti in poco più di vent’anni anche nel senso di una riscoperta pratica di quegli antichi saperi artigiani che gli intellettuali dell’epoca si sentivano civilmente impegnati a recuperare per correggere la “degenerazione delle macchine” della fagocitante industria contemporanea.
Una vera e proprio camera del tesoro che fu più volte ripensata e nella quale, cogliendo l’occasione del più recente restauro, si è voluta rievocare, per quanto possibile, l’atmosfera dell’epoca di Gian Giacomo, ricollocando nelle vetrine parte degli oggetti che al tempo vi furono esposti.
Redazione Restituzioni